Itinerario storico culturale


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Porto Mandracchio

Per ‘mandracchio’, in linguaggio marinaro, s’intende uno “specchio d’acqua limitato e ben riparato, simile a una piccola darsena, ricavato in un porto e destinato al ricovero di imbarcazioni di piccole dimensioni”, come troviamo scritto sul dizionario Treccani. In effetti il pittoresco porto-canale di Grado, con la sua tipica forma ad “Y” rovesciata, potenziato a inizio ‘900 grazie agli scavi e ai rinforzi in cemento armato realizzati da parte dell’allora amministrazione asburgica, protegge dalle mareggiate e dal forte vento di bora; questo soprattutto per i tanti pescherecci che, salvo condizioni meteo avverse, garantiscono sempre il pescato fresco e caratterizzano il vero e proprio canale di collegamento alla laguna. Oggigiorno la Cooperativa Pescatori di Grado, con il suo progetto “Zero Miglia”, è attiva tramite la frequentatissima pescheria e l’innovativa osteria del mare proprio in fondo alla Riva Dandolo. Se tornassimo indietro nel tempo, invece, sul canale avremmo trovato cinque fabbriche per la lavorazione e la conservazione delle sardine sott’olio. La prima venne fondata già verso la fine del XIX° secolo dal viennese Carl Warhanek, poi se ne aggiunsero ben presto altre, di cui una di proprietà della Società Francese di Conserve Alimentari. La produzione era sorprendente per quantità e qualità, ma l’aspetto più importante riguardava soprattutto i posti di lavoro per la popolazione locale, il cui impiego era di circa 200 unità. Negli anni successivi vennero aperte le altre 2 aziende oltre a una fabbrica del ghiaccio, sull'altra sponda del canale: l’ottimizzazione della logistica, quindi, non è solo dei tempi moderni! Oggigiorno lungo la biforcazione della già citata “Y” capovolta del porticciolo, ormeggiano nel cuore di Grado le imbarcazioni da diporto, tra cui non poche battenti bandiera estera. Le cronache del passato raccontano di un traghettatore che collegava le rive opposte del Mandracchio e, fantasticando, ci si può immaginare la vivacità del porto ai tempi della linea fluviale Grado-Aquileia, inaugurata nell’estate del 1888, e più tardi dei battelli a vapore che portavano i turisti a Grado partendo da Belvedere, dove terminava la linea ferroviaria dell’epoca, che arrivava da Vienna e da Praga. In seguito, come documentato dalla pubblicità turistica del 1924, svariati piroscafi collegheranno Grado e Trieste con un tragitto di 1 ora e ¾, ma i collegamenti più frequenti erano quelli dei traghetti che operavano dalla testata della strada “Mosconi”, prima della costruzione del ponte girevole a metà degli anni “30, a completamento dell’unione tra terraferma ed isola. Dopo la traversata lagunare i primi villeggianti di Grado venivano accolti direttamente dai portieri degli alberghi e delle pensioni al loro sbarco in porto: cartoline d’epoca hanno immortalato esclusivi hotel e caffè alla moda situati tutto attorno al porto e ci si può ben immaginare quanto diverso dovesse apparire l’ambiente circostante prima delle varie ‘colmate’ e opere di bonifica. E’ qui al porto che, sicuramente, si trova per così dire l’ombelico di Grado, tappa inevitabile di una passeggiata verso la spiaggia o per andare a visitare il labirintico centro storico, oppure per partire in escursione alla scoperta della laguna col suo paesaggio indimenticabile. E’ da qui che la mattina della prima domenica di luglio, secondo una plurisecolare tradizione locale, parte e ritorna la processione di barche del ‘Perdòn de Barbana’: evento attesissimo e molto sentito dai gradesi, appuntamento da non perdere per turisti e visitatori alla ricerca di tipicità assolutamente genuine. E’ qui che, nell’ambito della rassegna “Presepi a Grado”, nel periodo delle festività natalizie viene allestito sull’acqua uno dei presepi più attraenti, punto di partenza dell’ immancabile tour attraverso le svariate zone di Grado, per ammirare una panoramica unica sull’arte presepiale, mista a creatività popolare e fantasia tipicamente locale. E’ qui che, forse, il Maestro Franco Battiato con “L’Arca di Noè”, album del 1982, aveva: ”… fatto SCALO A GRADO, la domenica di Pasqua…”.

Castrum

Sia ai tempi dell’Impero Austroungarico che dopo il passaggio all’Italia a seguito della prima Guerra Mondiale, a Grado vennero ripetutamente effettuati scavi archeologici che ebbero come risultato l’individuazione del Castrum: grazie a recenti indagini e conseguenti, approfonditi studi della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, la sua creazione potrebbe essere datata alla prima metà del VI° secolo d.C.; per alcuni esperti di storia locale, invece, risalirebbe addirittura agli inizi del V° secolo, anche in base a fonti letterarie medievali. L’insediamento fortificato d’epoca tardo antica era caratterizzato da una curiosa forma simile a una ‘suola di sandalo’ ed era dotato di possenti mura, spesse 9-10 piedi romani, ovvero poco meno di 3 metri; il loro livello di fondazione si trova a circa 2 metri e mezzo sotto l’odierno suolo di calpestio e parti murarie sono ancora rintracciabili in alcuni punti della pittoresca città vecchia, che nel tempo si sovrappose con case, ‘campi’, ‘campielli’ e ‘calli’ all’antico nucleo; la cinta doveva esser in pietra arenaria, formata da piccoli blocchi regolari fissati con malta; era alta circa 5-6 metri , lunga 360 metri e larga a nord 50 metri mentre verso sud più di 90. Pare che ci fossero nove torri tra rettangolari e poligonali, come si può intuire in Campo Porta Nuova; delle sei porte sono rimaste tracce solo di un paio, a est e a sud-ovest. Proprio a ovest, il limite occidentale del Castrum è rappresentato dalle attuali Piazza Duca d’Aosta e Via Gradenigo: infatti, la definizione locale per l’abitato adiacente alla ex chiesetta di S. Rocco è “de fora”, al di fuori, mentre le odierne Calle del Palazzo e Calle Lunga sembrano seguire l’asse originario dentro le mura. Se lo scopo primario fu naturalmente quello difensivo, la costruzione del perimetro fortificato e l’aumento del numero di edifici racchiusi al suo interno testimoniano fondamentali cambiamenti socio-economici, politico-militari e, non da ultimo, religiosi: l’indubbio sviluppo e il rapido aumento d’importanza di Gradus, da qui il suo nome, da intendersi appunto come ‘gradino’, ‘scalo’, ‘approdo’ sul mare aperto, contribuirono a renderla un vero e proprio centro urbano; questo dopo aver svolto funzioni principalmente portuali per Aquileia che, fondata a partire dal 181 avanti Cristo e dotata di un grande porto fluviale, venne annientata dagli Unni di Attila nel 452. Proprio a causa della distruzione attilana della metropoli romana, Grado antica non solo offrì riparo alla popolazione e al clero in fuga, ma divenne poi sede del potere ecclesiastico dell’epoca, con la presenza determinante del Vescovo e, successivamente, del Patriarca di Aquileia. Storicamente quindi la nostra isola può essere considerata ‘figlia’ di Aquileia e in qualche modo ‘madre’ di Venezia: non tanto perché, secondo la leggenda, gli abitanti di Aquileia stabilitisi a Grado avrebbero in seguito popolato le isole della laguna fino a ‘Rivus Altus’, insediamento originario della futura città di Venezia, bensì in quanto Grado fu genitrice del capoluogo veneto dal punto di vista ecclesiastico. I Patriarchi gradesi ebbero un periodo di splendore, con grande potere ed esteso controllo su vasti territori dell’Alto Adriatico ai tempi del dominio bizantino fino al declino di quest’ultimo. Successivamente Venezia venne a essere un centro religioso in crescita continua, per quanto ancora sottoposta al Patriarca gradese che però, dal XII secolo, vi trasferì la propria residenza, tornando a Grado solo in particolari ricorrenze; la bolla papale del 1451 mise fine alla tradizione patriarcale gradese, cui subentrò la figura del Patriarca di Venezia. Per potere meglio immaginare il Castrum, si consiglia di entrare nella suggestiva Basilica di Santa Eufemia e di avvicinarsi all’altare maggiore: il moderno mosaico pavimentale sottostante lo raffigura in maniera stilizzata, ma efficace!

Basilica Santa Maria delle Grazie

Anche se di dimensioni ridotte rispetto alla Basilica di Santa Eufemia, Santa Maria delle Grazie non è una chiesa minore e la sua visita è parte integrante dell’itinerario di Grado paleocristiana. L’aspetto esteriore può apparire relativamente semplice, ma la simbolica trifora nella parte superiore della facciata, che venne realizzata con colonnine e capitelli d’epoca romana, è degna di nota. Questa piccola basilica presenta uno sviluppo architettonico insolito per gli edifici di culto cristiani più antichi dell’alto Adriatico; all’interno, infatti, si possono cogliere particolari inusuali e di notevole interesse storico-artistico: secondo alcuni esperti, per esempio, la zona absidale di Santa Maria delle Grazie si richiama a modelli tipici della Siria; inoltre, risulta sorprendente il dislivello di circa un metro, che venne ripristinato con i restauri degli anni “20 del 1900: i due livelli della navata centrale e di quella destra ricordano efficacemente entrambe le fasi di costruzione. Prima ancora di queste due chiese, però, sarebbe esistita un’aula rettangolare con pavimento in cocciopesto databile al tardo IV° secolo, che potrebbe aver rappresentato il primo luogo di culto cristiano dell’antica Gradus. A metà del V° secolo fu eretta una vera e propria basilica alla quale corrisponde il pavimento più basso; tale chiesa venne abbandonata per un certo periodo di tempo a causa dei danni di un incendio e sarebbe stata poi inglobata dal grandioso edificio voluto dal Patriarca Elia nella seconda metà del VI° secolo; a quest’ultima fase risale l‘innalzamento del livello pavimentale. Parecchi elementi della basilica per così dire ‘intermedia’ sono tuttora presenti, come nell’attuale navata destra dove si può ammirare un bel tratto di pavimento musivo, con decorazioni geometriche, grandi fiori stilizzati a quattro petali e iscrizioni di donatori; sempre risalenti al V° secolo sono gran parte della peculiare abside con bifora, la cosiddetta cattedra, i seggi e il banco presbiteriali in pietra e marmo. Dobbiamo immaginare che la situazione idrogeologica di tutta la zona era completamente diversa in antichità; sarebbe stato comunque impensabile se non impossibile creare sotterraneamente delle cripte in considerazione della natura del sottosuolo. Pertanto, in maniera analoga alla Basilica di Santa Eufemia, si ricavarono a sinistra e a destra dell’abside la “protesi” e il “diaconico” che in S. Maria delle Grazie risultano singolarmente collegati tra di loro; questi due piccoli ambienti laterali venivano usati, rispettivamente, dai fedeli per lasciarvi le offerte e per la preparazione dell’occorrente per le celebrazioni liturgiche, nonché per la conservazione delle suppellettili sacre e delle reliquie. Di epoca ‘eliana’ sono le colonne, cinque a destra e altrettante a sinistra, con i bellissimi e variegati capitelli perlopiù di reimpiego; l’altare è coevo, mentre la recinzione è il frutto di restauri con utilizzo sia di parti autentiche che di integrazioni: particolarmente significativi sono gli animali raffigurati, quasi di certo opera di maestri lapicidi aquileiesi trasferitisi nel Castrum gradese; la valenza simbolica di colombe, pavoni e agnelli forse per noi oggi non è di immediata comprensione, mentre era comune e diffusa in passato. Soprattutto in epoca barocca e a seguire nell’ ‘800, vennero apportate una serie di modifiche interne ed esterne a S. Maria delle Grazie; restaurato più volte nel corso del XX° secolo, questo scrigno prezioso d’arte e architettura raffinate è stata riportato all’aspetto più autentico, eliminando le varie aggiunte e provvedendo al consolidamento statico della struttura primitiva. Così come per il vicino Duomo, col passare del tempo e con i cambiamenti legati al gusto dell’epoca, è andato purtroppo perduto il quadriportico antistante la facciata; sulla pavimentazione esterna ne è stata riprodotta una traccia perimetrale. L’intitolazione a S. Maria delle Grazie, infine, è testimoniata dall’omonima statua, relativamente recente, che è posizionata nella navata sinistra e costituisce una delle mete principali della locale devozione popolare; la ‘Cesa de le Grasie’ detta anche ‘de le femene’ ben rappresenta l’importanza del culto verso colei che tradizionalmente simboleggia l’intercessione tra la realtà umana e la dimensione divina.

Basilica di Santa Eufemia, battistero e lapidarium

Di origine paleocristiana e fulcro della città vecchia di Grado, la Basilica di S. Eufemia trasmette un senso di raccoglimento che prevale sulle notevoli dimensioni e sulla preziosità delle opere d’arte. Grazie agli scavi archeologici eseguiti in varie epoche, si sono scoperti luoghi di culto preesistenti all’attuale edificio tra i quali un’aula di fine IV° secolo con probabili funzioni cimiteriali e una basilica della seconda metà del V° secolo; resti di entrambe si trovano nel sottosuolo della chiesa, che era stata consacrata dal Patriarca Elia nel 579 ed era stata intitolata a Santa Eufemia, martire di Calcedonia sotto Diocleziano e patrona di Rovigno in Istria. L’antica città di Calcedonia, corrispondente a un quartiere dell’odierna Istanbul, fu sede nel 451 del grande Concilio ecumenico tenutosi nella locale basilica di Eufemia. Il Duomo gradese, dedicato poi anche ai Santi Ermacora e Fortunato, primi martiri di Aquileia e patroni del Friuli, ha una struttura architettonica originale in mattoni ed arenaria, ben visibile soprattutto all’esterno, dopo i restauri di metà ‘900 che rimossero quasi tutte le trasformazioni del passato più recente. La colonna al centro dell’adiacente Campo dei Patriarchi, sormontata dalla singolare croce patriarcale, testimonia una delle più evidenti modifiche apportate negli ultimi tempi; questa unica colonna rimane di tutte quelle che facevano parte del quadriportico costruito davanti alla chiesa del VI° secolo. All’interno della basilica, invece, ci sono due file di colonne che vanno a formare le tre navate e che costituiscono un perfetto esempio del riutilizzo di materiali di spoglio o reimpiego di varia provenienza: vennero adoperate infatti svariate tipologie di marmi in periodi differenti e lo stesso vale per i capitelli, alcuni in pietra d’Aurisina del vicino Carso triestino. Di rara bellezza e dei tempi di Elia è il grandioso pavimento a mosaico, restaurato nel secondo dopo-guerra con parti più chiare; lo caratterizzano iscrizioni in ricordo dei donatori e raffigurazioni geometrico-ornamentali ma anche simboliche: ricorrente è la decorazione a ‘pelte’, riproduzione stilizzata dei segni delle onde marine sulla battigia. Tra i capolavori medievali all’interno di S. Eufemia spicca il particolare ambone romanico con i simboli dei quattro evangelisti in basso e una cupoletta quasi moresca in alto; trecenteschi sono i variopinti affreschi del catino absidale e la sottostante pala in argento dorato, lavorato finemente. Un recinto presbiteriale, ricostruito con parti scolpite autentiche, racchiude sia l’altare maggiore che il pavimento musivo del 1950, raffigurante idealmente l’antico “Castrum” con il mare aperto e la laguna. Ai lati si trovano le due “pastoforie”, piccoli ambienti destinati in origine a conservare paramenti sacri, oggetti liturgici e, non da ultimo, reliquie. In fondo alla navata destra si vede il “Salutatorium”, suggestivo spazio con suolo mosaicato, dove il Patriarca riceveva il clero: oggigiorno vi è esposta una copia della cosiddetta cattedra-reliquiario di S. Marco, il cui originale si trova a Venezia. Da qui un moderno corridoio conduce al “Lapidarium”, piccola oasi di pace sul retro dell’abside del Duomo: lo spaccato archeologico ed artistico offerto è di assoluto pregio anche se forse non abbastanza conosciuto; vi invitiamo quindi a visitarlo. Il presente allestimento cronologico valorizza la ricca raccolta di manufatti lapidei composta da molteplici frammenti di decorazioni marmoree, iscrizioni, sarcofagi e capitelli, che spaziano dall’epoca pagana al cristianesimo delle origini fino al periodo bizantino e medievale. Riattraversata l’esposizione dei reperti, si esce lateralmente dalla Basilica nella zona all’aperto, un tempo occupata dalla residenza episcopale prima e patriarcale poi. A fianco svetta il campanile del ‘400 con San Michele Arcangelo, chiamato confidenzialmente dai gradesi l’ “Anzolo”, dono dei veneziani che, con le ali spiegate, il braccio destro e il dito indice disteso, indica la provenienza del vento. Dalla parte opposta del Duomo si accede al Battistero che, seppur ripetutamente rimaneggiato, conserva la sua emblematica forma ottagonale oltre a tracce di un bel mosaico pavimentale del VI° secolo; all’interno è visibile inoltre il fonte battesimale a sei lati che, pure oggetto di restauri e ricco di valenza simbolica, evoca la tradizione del battesimo per immersione. Uscendo all’esterno, in mezzo a sarcofagi d’epoca romana rinvenuti nella Grado asburgica del 1860, piace credere alla curiosa iscrizione del sarcofago più grande, tomba di coniugi che vissero per molti anni “…SINE ULLA QUERELLA…” ovvero, se non proprio senza mai litigare, senza lamentarsi!

Piazza Biagio Marin e Basilica della Corte

Inizialmente chiamata Piazza della Corte e poi Piazza Vittoria, la vasta piazza che si estende al limite meridionale del centro storico di Grado è ora intitolata a Biagio Marin, poeta, scrittore, uomo di lettere e di cultura, non solo locale. Accanto alla Basilica di S. Maria delle Grazie si trova la sua casa natale, mentre la sua ultima dimora è situata in prossimità di quel mare tanto ricorrente nelle liriche mariniane, composte prevalentemente in dialetto gradese. Nella sua lunga vita attraverso quasi tutto il ‘900 vi furono eventi tragici, come la I^ guerra mondiale che lo vide combattente, e la 2^ Guerra Mondiale durante la quale perse il figlio Falco, cui è intitolata la biblioteca civica dell’isola; nato nella Grado asburgica, Biagio Marin si formò a Gorizia, Pisino e Vienna, ma anche a Firenze, e operò successivamente nell’ambito culturale della Venezia Giulia italiana; nei primi anni “20 insegnò a Gorizia e i suoi metodi erano talmente innovativi per l’epoca, che dovette poi lasciare il capoluogo isontino; tornò quindi alle sue radici e fu direttore dell’allora Azienda Balneare per molti anni, dopodiché visse lungamente a Trieste, dove riprese a insegnare; fu bibliotecario delle Assicurazioni Generali e contribuì a fondare il locale Circolo della Cultura e delle Arti, di cui ebbe più tardi la presidenza onoraria; dall’Università di Trieste gli venne conferita la laurea honoris causa per la sua produzione letteraria. Ultranovantenne, concluse nella sua “Isola d’Oro” un’esistenza interessata da critiche e scontri per il proprio temperamento; non mancarono, però, prestigiosi riconoscimenti letterari, apprezzamenti e manifestazioni di stima da parte di diverse personalità del mondo della cultura e della stampa; tra queste citiamo Pier Paolo Pasolini, dopo la cui terribile morte Biagio Marin pubblicò “El critoleo del corpo fracassao” (“Lo scricchiolio del corpo fracassato”) e Claudio Magris che omaggiò il poeta gradese con “Ti devo tanto di ciò che sono” - carteggio con Biagio Marin. Tornando alla nostra piazza, particolare attenzione va alla ‘Casa della Musica’, edificio d’angolo tra i più antichi della Grado vecchia, che fu costruito nel corso dei secoli su un tratto delle mura del Castrum; si chiama così in quanto sede della banda civica ai tempi dell’Austria; dopo un accurato restauro integrale, oggi ospita esposizioni a carattere storico-artistico e manifestazioni culturali. Sulla pavimentazione davanti alla ‘Casa della Musica’ è stato riprodotto il perimetro del battistero ottagonale d’epoca paleocristiana di pertinenza dell’antica Basilica della Corte i cui resti sono visibili nella suggestiva area di scavo che occupa gran parte della piazza: vi si possono ammirare strutture murarie, lacerti di pavimento musivo e nell’area antistante l’antica facciata, un tempo zona cimiteriale, alcuni sarcofagi. Come S. Maria delle Grazie e S. Eufemia, anche questa era una chiesa orientata, ossia con l’altare a oriente, dove il sole sorge, e l’ingresso a occidente, dove il sole tramonta: simbolicamente, il fedele che entrava si lasciava ciò che è oscuro alle spalle per dirigersi verso la luce della fede. Pure la terza basilica di Grado ebbe fasi diverse fino alla distruzione, forse dovuta a un incendio, con definitivo abbandono tra l’ottavo e il nono secolo; secondo alcuni esperti, chiesa e battistero per un certo periodo dell’antichità sarebbero stati riservati al culto ariano. Nell’angolo sud-ovest della piazza, dove oggi si trova un condominio a ridosso del lungomare, sorgeva un fortino napoleonico; fu proprio a seguito della demolizione di quest’ultimo che a inizio ‘900 vennero alla luce i resti paleocristiani, oggetto di scavi archeologici già in epoca austriaca. Ricordiamo che la struttura condominiale è stata ricavata dalla ex “Pension Fortino” di proprietà della famiglia di Josef Maria Auchentaller, famoso artista austriaco che fece parte della Secessione viennese e che contribuì alla fama di Grado quale meta turistica della Mitteleuropa grazie alla sua presenza sull’isola, con la sua arte e le sue conoscenze tra cui Otto Wagner, pure ospite del “Fortino”. Infine, nell’area dell’ex-canonica, situata sul lato settentrionale della piazza, trovate il Museo Civico dov’è conservato ed esposto il prezioso Tesoro del Duomo, che vanta straordinari manufatti d’oreficeria e rari capolavori d’arte sacra risalenti al periodo paleocristiano e alto-medievale ovvero della Grado patriarcale.

La passeggiata elegante e le ville liberty

Passeggiando in centro, nella zona delle attuali via Carducci, viale Dante e viale Regina Elena, si incontrano peculiari edifici risalenti al recente passato asburgico di Grado. Grazie alla prossimità con la capitale dell’Impero, nonché alla vicinanza con l’allora città-porto di Trieste, già a fine ‘800 l’isola venne preferita dalla nobiltà e dall’alta borghesia austro-ungarica tra le località di villeggiatura dell’alto Adriatico per cure termali e balneazione. Nella stazione climatica, proclamata tale nel 1892, si costruirono rapidamente diverse ville e alcune, da originarie case di vacanza, divennero prestigiosi hotels. Altri ‘villini’ non esistono più o sono stati trasformati nel tempo; al contrario, parecchie costruzioni sono state accuratamente preservate: tra le più rappresentative, al n.7 di via Carducci c’è proprio la “Villa Liberty”, residenza privata, caratterizzata dall’ uso di svariati colori e dall’ utilizzo armonioso di numerosi materiali, come è tipico per tale stile architettonico; legno, ghisa, ferro battuto, vetrate colorate sulle facciate, raffigurazioni floreali o femminili con linee a “colpo di frusta o volo d’ali di libellula” (cfr. Prof. Sergio Tavano) e decorazioni lignee o mattonelle colorate sotto gli spioventi dei tetti sono tra le particolarità architettoniche della corrente artistica che, diversamente definita nelle varie lingue, si affermò dal tardo XIX° agli inizi del XX° secolo; staccandosi completamente dalla tradizione accademica, il radicale rinnovamento delle discipline artistiche si lega, ad esempio, al concetto di ‘Arte Totale’ (Gesamtkunstwerk) del movimento della Secessione Viennese; nelle specifiche costruzioni di Grado, questa tendenza sembra rifarsi in parte anche all’architettura del carinziano Lago di Wörth (Wörthersee Architektur). Compreso tra l’odierna zona pedonale e il fronte mare, il complesso delle “Ville Bianchi” fu realizzato nei primissimi anni del ‘900 sulla sabbia, con materiali trasportati da Belvedere di Aquileia tramite barconi attraverso la laguna, per volere di Leonhard Bianchi. Il Barone, assieme al governo austriaco, sovvenzionò lo scavo del pozzo artesiano al fine dell’approvvigionamento idrico dell’isola, contribuendo così al suo ammodernamento. Con le Ville Marina, Spiaggia, Onda, Stella Maris e Adria la famiglia Bianchi fu tra i pionieri degli operatori turistici di Grado: la conduzione rimase nella tradizione familiare fino al 1978. Ceduto, ristrutturato ultimamente e con cambi di gestione, il signorile insieme immerso nel verde, presenta di fronte un curioso dettaglio: sulla recinzione che delimita la spiaggia antistante, dove si trova la cosiddetta “Porta Imperiale” ossia il cancello dell’epoca, si può ancora scorgere il monogramma di Francesco Giuseppe (“FJ”), sovrastato dall’aquila a due teste! Sul viale Dante affaccia l’attuale “Villa Reale”, completata nel 1912 e inizialmente villa privata di Hugo Anbelang: già nel 1914 rientrava nell’elenco dell’Azienda di Cura e Soggiorno dell’epoca come “Villa Imperiale” con camere in affitto. Il proprietario era nipote di Carl Warhanek, creatore del primo stabilimento di Grado per la conservazione delle sardine. In seguito la villa fu comprata e resa albergo dalla stessa famiglia che, dal 1923, lo possiede e gestisce. Mantenendo le suggestive caratteristiche dell’epoca, ma con gli standard del comfort moderno e il piacevole giardino, la Villa Reale ha ospitato nei decenni illustri personalità politiche e famosi artisti, tanto ai tempi dell’Austria-Ungheria quanto ai giorni nostri. Sempre sul viale pedonale si trova la “Villa Erica”, hotel di gusto romantico dal 1907 e, poco distante, si può ammirare l’elegante “Villa Bernt”, albergo dal 1927. Entrambi gli edifici, resi confortevoli secondo le moderne esigenze alberghiere, conservano però il fascino del passato: rispettivamente, quello più “imperial-regio” con villeggianti da tutta la Mitteleuropa sin da inizio secolo scorso e quello del turismo élitario di fine anni “20, quando l’ Art Déco stava subentrando al Liberty e come l’aspetto della Villa Bernt sembra già anticipare.

Parco delle Rose

In tempi recenti Grado ha ottenuto l’ambito "Marchio nazionale di Qualità - Comune Fiorito" con ben 4 fiori d’oro per la qualità, la cura e la promozione del verde pubblico e delle fioriture, nonché per la positiva valutazione relativa a pulizia, ordine e ambiente sostenibile. Tale prestigioso riconoscimento si è aggiunto a quelli che, negli anni, hanno contrassegnato la nostra isola quali l’oro europeo dell’Entente Florale Europe nel 2011 e successivamente la medaglia d’argento di Communities in Bloom, concorso mondiale. Sicuramente il Parco delle Rose, con i suoi 30.000 metri quadrati, è il vero e proprio polmone verde del centro isolano. A promuoverne la creazione già a metà degli anni “20 del ‘900 fu Biagio Marin, la cui produzione lirica ha contribuito alla fama letteraria dell’isola e, all’interno del parco, a cent’anni dalla nascita del poeta gradese, fu inaugurato un monumento in suo onore. All’epoca dell’origini del Parco delle Rose Biagio Marin era Direttore della locale Azienda Balneare e, seppure osteggiato, andò contro corrente, soprattutto contro la minaccia di un ricorso avverso alla realizzazione del Parco; per quanto ridimensionato, il progetto venne portato a termine per poter offrire frescura e ombra a ridosso dell’arenile che si andava sempre più attrezzando. La bellissima zona verde unisce così il centro di Grado dall’ingresso principale della spiaggia alle Terme e al Palazzo Regionale dei Congressi. Oltre a essere una zona per piacevoli passeggiate e per vari tipi di attività fisica, non mancano le aree gioco per i più piccoli e punti di ristoro. Con la prevista posa di 150 diverse varietà di rose, l’omonimo Parco ospita però anche palme, pini marittimi, magnolie sempre verdi, altri alberi ad alto fusto e cespugli sempre curatissimi, la cui manutenzione impegna addetti comunali tutto l’anno e personale stagionale di supporto. La conservazione del verde non è di per sé statica, quindi progetti e migliorie sono continui sia per aiuole e piante che per vialetti, allestimenti vari e opere a carattere architettonico. Da ricordare la messa a dimora della rosa senza spine detta “Maria Teresa”, centifolie risalente ai secoli XVIII°-XIX° e recentemente recuperata da un appassionatissimo esperto tra i rovi dello scalo ferroviario della Grado di un tempo in località Belvedere, come pure il restyling della zona dell’arena per manifestazioni all’aperto e la riqualificazione generale del Parco con particolari accorgimenti all’insegna dell’eco-sostenibilità. Grado però garantisce ai suoi ospiti ulteriori aree verdi tra cui la vasta zona di Pineta e altre dove vengono piantati alberi in ricordo di benemeriti gradesi o cari defunti. Inoltre, in diversi punti dell’isola si possono ammirare tipici esempi di ‘ars topiaria’ con suggestive sculture vegetali. Le sempre più numerose rotonde vengono ingentilite da belle composizioni che variano in ogni stagione e i giardini pubblici per così dire ‘storici’ fanno parte del fascino locale, ospitando anche ricorrenti mercatini a tema. I Giardini Marchesan, situati tra Viale Dante e Viale Regina Elena e caratterizzati da una particolarissima fontana moderna, si trovano dove c’era una pista da pattinaggio prediletta dai bambini degli anni “60 e “70 del secolo scorso. Un triste ricordo è invece legato ai Giardini Oransz ovvero alla tragica fine del Dottor Moritz Oransz e della moglie Sofia, benefattori e ‘pionieri’ del turismo gradese d’inizio ‘900; purtroppo, ai tempi dell’occupazione nazista furono deportati prima a Trieste e poi ad Auschwitz, dove morirono il giorno stesso del loro arrivo. Sotto gli alberi in fondo a Viale Europa Unita, nell’area compresa verso Via Mazzini, una targa commemorativa ricorda i coniugi Oransz, che non solo con l’attività della loro Casa di Cura-Albergo “Alla Salute” fecero del bene per la nostra località, ma contribuirono a farla conoscere e apprezzare per le sue proprietà curative. Così, nel verde in prossimità del mare e della spiaggia, questo ricordo positivo e grato sopravvive alla loro tragica fine e all’insana follia di un doloroso periodo di storia recente.

Palazzo dei congressi

In confronto a spiagge sue ‘concorrenti’, Grado ha sempre avuto una stagionalità più lunga grazie agli ottimi servizi offerti dalle Terme marine e alle notevolissime attrattive artistiche del suo pittoresco centro storico. Inoltre, per chi ama la natura, il richiamo che la nostra isola esercita è irresistibile soprattutto fuori stagione: basti pensare alla straordinaria bellezza della sua laguna e all’offerta di molteplici attività sportive tra cui golf, vela e canotaggio oppure, per gli amanti della bicicletta, alla rete di piste ciclabili e ciclovie che permettono di scoprire l’entroterra. Non da ultimo è assolutamente piacevole raggiungere Grado già in primavera o in autunno anche solo per una passeggiata sulla cosiddetta ‘diga’ e in riva al mare, mentre gli appassionati della buona cucina del pesce frequentano l’isola in ogni stagione. Oltre a essere assieme a Barbana meta di pellegrinaggi e del turismo religioso quasi tutto l’anno, Grado è una destinazione legata all’ospitalità alberghiera per il turismo scolastico e vede ulteriormente prolungata la sua vita turistica quale sede congressuale. Alcuni hotel gradesi a più stelle sono dotati di proprie sale conferenze, ma determinante per lo sviluppo di questo specifico settore è il Palazzo Regionale dei Congressi. Venne progettato e realizzato dallo Studio Architetti Avon e Associati di Udine nel 1980 e costruito con finanziamenti pubblici; è situato tra gli stabilimenti termali e il Parco delle Rose, occupa una superficie di oltre 2.000 metri quadrati e ospita un auditorium con oltre 1.000 posti, ma non mancano le sale con minore capienza. Fondamentali per un centro congressi sono senz’altro la funzionalità e la modularità degli spazi, caratteristiche queste che gli architetti Gianni Avon e Marco Zanuso avevano allora già ben presenti. Lo stile rispecchia le tendenze tipiche dell’architettura a cavallo tra fine anni “70 ed inizio anni “80 e, per le tecniche costruttive, si recepirono immediatamente le norme antisimiche legate alla ricostruzione del Friuli dopo i due terremoti del 1976. Il nostro Palazzo dei Congressi fu subito apprezzato, tra gli altri, dal grande storico e critico d’architettura Bruno Zevi e, rifacendoci a una sua positiva recensione proprio del 1980, cercheremo di spiegarvi perché: la scelta dei volumi si basò su un quadrato di fondo con lati di 45 metri, cui si sovrapposero altri due quadrati uno ruotato ed uno parallelo; l’ampia struttura interna risulta così alquanto dinamica in termini spaziali. Venne scelto l’utilizzo del cemento bianco a vista, con rigature o scanalature diagonali, per connotare l’insieme con effetti di chiaro-scuro sempre diversi in base alle differenti condizioni di luce esterna. Per creare una specie di stacco tra la parte superiore dell’edificio ed il cielo si ricorse al rivestimento con piastrelle di graniglia grigia, unica concessione cromatica, disposte a scacchiera. L’accesso all’ampio foyer interno è possibile dal portico del pianterreno e Zevi approvò incondizionatamente le soluzioni adottate per le aree delle varie attività e funzioni: dalla segreteria al guardaroba, dallo spazio bar, alle zone espositive, agli arredi delle sale cui riconobbe senso pratico e gusto estetico. In termini operativi il Palazzo dei Congressi di Grado, dotato di moderna impiantistica, è sede di eventi principalmente congressuali a livello sia locale che internazionale, tra tutti le “Giornate Mediche” ovvero “Aerzte-Tage” che richiamano studiosi e operatori in campo medico dai Paesi di lingua tedesca, ma anche mostre e manifestazioni culturali di vario genere, concerti e spettacoli teatrali. Infine, oltre alla curata vegetazione che circonda il Palazzo, ricordiamo che a lato vi sono i campi da gioco del Tennis Club Grado, mentre le Terme e la spiaggia sono a pochi passi. Pertanto Grado risulta particolarmente attraente quale sede di convegni e, con il suo variegato comprensorio, rappresenta un punto di partenza ideale per eventi collaterali ed escursioni a completamento dell’offerta turistico-congressuale.

Barbana

Barbana e Grado sono collegate da un servizio di navigazione, con corse più frequenti in primavera ed estate; si può raggiungere questa isoletta di soli tre ettari anche con mezzi privati, dopo una traversata di circa venti minuti tra le bellezze naturali e la pace della laguna a est di Grado. Meta di pellegrinaggi per eccellenza, Barbana ospita uno dei primi santuari mariani, le cui origini risalirebbero alla fine del VI° secolo quando pare che esistesse ancora un lembo peninsulare; infatti, l’isola come tale fu citata appena nel 734 in un documento papale. Tra storia e leggenda si narra che una mareggiata spinse un’immagine di Maria su un olmo di quei lidi; icona o statua che fosse, venne trovata dall’eremita Barbano, proveniente dall’antica Treviso. L’allora Patriarca di Grado Elia fece costruire una chiesa nei pressi del luogo del rinvenimento e, dopo la successiva aggiunta di un monastero, ne divenne priore proprio Barbano dal cui nome deriverebbe quello dell’isola. Custodi del santuario furono per lungo tempo i Benedettini poi i Frati Francescani Conventuali, con alterne vicende come la soppressione del convento da parte di Venezia nella seconda metà del XVIII° secolo; in tempi moderni sull’isola ci furono i Frati Minori fino al 2019, mentre adesso sono presenti monaci benedettini della Congregazione Benedettina del Brasile che, a inizio 2020, fondarono il Monastero di S. Maria di Barbana con il motto: “ORA ET LABORA”. La chiesa attuale è quella riedificata agli inizi del ‘900 in stile neo-romanico con elementi vagamente orientaleggianti. Il campanile, alto poco meno di 50 metri, fu inaugurato alla fine degli anni “20 e le odierne campane, ricavate dalla fusione di cannoni tedeschi della seconda guerra mondiale, alludono alla pace. All’interno colpisce la singolare acquasantiera in marmo rosso di Verona, raffigurante il diavolo schiacciato dal peso della grande conchiglia con l’acquasanta. La struttura a tre navate è caratterizzata dal soffitto ligneo a carena di nave rovesciata: tale forma, ripresa in alcune chiese sul modello della magnifica Basilica Patriarcale di Aquileia, richiamerebbe all’Arca di Noé quale simbolo di salvezza e protezione. Affreschi dei tardi anni “30 ornano le centinaia di metri quadrati della cupola con scene a tema mariano e relative alle origini del Santuario. La veneratissima statua in legno, che rappresenta Maria quale Madre con Gesù Bambino sul ginocchio e quale Regina sul trono, è opera di autore ignoto e databile forse agli inizi del ‘500; viene portata in processione sull’isola il 15 agosto e l’8 settembre in occasione, rispettivamente, dell’Assunzione e della Natività della Beata Vergine. La processione più famosa è il tradizionale “Perdòn” la prima domenica di luglio, a ricordo del voto dei gradesi contro la pestilenza del 1237: la statua della Madonna degli Angeli della Basilica di S. Eufemia viene portata da Grado a Barbana a bordo di un’imbarcazione con il gran pavese, ornata da fiori; creano la processione via acqua una moltitudine di barche di isolani e turisti; celebrata la messa sull’isola minore, si ritorna all’isola maggiore e per il doppio passaggio del corteo religioso viene aperto il ponte girevole tra Grado e la strada lagunare in direzione Aquileia. Precedono il “Perdòn” i festeggiamenti del ‘Sabo grando’ ossia sabato grande con musica, caratteristici canti e brindisi soprattutto nella città vecchia di Grado. Il Santuario conserva una quantità e varietà di ex-voto che testimoniano la plurisecolare devozione mariana da parte di genti di terra e di mare: attualmente sono esposti in chiesa i cuori argentei; presso l’Erboristeria del complesso c’è la Sala Ex-Voti che raccoglie oggetti donati dai fedeli e immagini votive a ricordo della grazia ricevuta, con la tipica sigla P.G.R., per guarigioni o per aver avuto salva la vita da incidenti, incendi e calamità naturali. Vicino al Santuario fu costruita a metà ‘800 la Cappella dell’Apparizione in onore del dogma dell’Immacolata Concezione; tutto attorno si trova un piccolo, suggestivo cimitero. Se Barbana fu lazzaretto e luogo di quarantena per malattie infettive ai tempi dell’antica Aquileia e di Gradus, oggi può essere anche luogo di ritiro per esercizi spirituali nella locale “Domus Mariae” all’insegna dell’ospitalità monastica.